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Nelle discussioni sulle città intelligenti, è diventato un luogo comune affermare che è imperativo includere le prospettive e gli interessi dei cittadini nella politica e nella pianificazione.
Quando si parla di tali prospettive dei cittadini vengono immediatamente in mente i problemi di privacy e di proprietà dei dati, e queste sono davvero questioni chiave nei discorsi sulle smart city.
Al di là di tali preoccupazioni, tuttavia, quando gli studiosi o gli urbanisti di smart city propongono di includere le prospettive dei cittadini, non è chiaro chi si riferisca esattamente con il termine cittadino.
Allo stesso modo, tutto ciò solleva la questione di cosa sia una prospettiva o un interesse, e quali potrebbero essere gli interessi diversi delle persone nelle città.
Questa incoerenza si riflette nella pletora di termini usati per descrivere i progetti di smart city destinati a includere i cittadini:
- Design inclusivo
- Design sensibile al valore o design partecipativo
- Co-creazione
- Laboratori di vita urbana
- Hackathons o Boot Camp per i dati
Nonostante questo, un’indagine condotta nel 2016 dall’Istituto Britannico di Ingegneria e Tecnologia (IET) suggerisce che la “città intelligente” resta un concetto che le persone comuni non conoscono né riconoscono come potenzialmente utile.
Meno di una persona su cinque (tra i cittadini britannici) ha sentito parlare del termine “città intelligente” o “smart city”.
L’IET conclude, quindi, che è giunto il momento di coinvolgere le persone nella progettazione delle smart city.
Ma quali persone esattamente? E perché? Quali sono i buoni metodi per il loro coinvolgimento? E quando tale coinvolgimento è considerato soddisfacente o di successo?
Incoraggiare le smart city
La ricerca del Centre for Big Open and Linked Data Cities (BOLD) è finalizzata ad esaminare queste domande nelle loro dimensioni teoriche ed empiriche.
Il centro ha sviluppato un programma di ricerca con il desiderio di migliorare gli usi civici e sociali di grandi dati aperti e collegati nelle città e di lasciare il futuro commerciale o imprenditoriale ad altri.
Il lavoro svolto si lega ai recenti dibattiti sui “diritti digitali per la città”.
Prendiamo ad esempio le persone, come utenti della città.
È anche molto probabile che abbiano interessi contrastanti tra loro.
La ricerca effettuata da BOLD è volta a esplorare, sviluppare e verificare forme di partecipazione e coinvolgimento che comportino il riconoscimento e la risoluzione di questi interessi contrastanti.
Ciò contribuisce a rendere SHARED le città intelligenti (Sustainable, Harmonious, Affective, Relevant, Empowering, Diverse), e questo concetto è stato sviluppato per guidare il lavoro.
La “via dei dati”
Presso BOLD vengono condotte varie forme di ricerca, utilizzando approcci multi-disciplinari e multi-metodo.
Uno di questi metodi, seguendo il lavoro di Alison Powell della London School of Economics, è il data walk.
Negli ultimi 12 mesi, sono stati presi in considerazione 14 gruppi di utenti della città e funzionari pubblici (circa 80 persone in tutto), coinvolti in brevi passeggiate attraverso diverse zone di Rotterdam e L’Aia nei Paesi Bassi.
Dato che gli sviluppi delle città intelligenti sono per lo più invisibili (poiché le infrastrutture tendono ad essere nel terreno e i dati fluttuano nell’etere), il primo impegno è stato quello di far capire alla gente cosa sta succedendo.
Durante le passeggiate viene chiesto alle persone di prendere in considerazione quattro domande:
- Dove vedi i dati?
- Cosa succede con essi?
- Chi li possiede?
- Vorresti dire qualcosa al riguardo?
Le persone di BOLD partecipano come moderatori piuttosto che come esperti, ponendo domande e prendendo appunti, ma raramente fornendo risposte su dove sono i dati e come vengono utilizzati.
Questo metodo sembra funzionare bene, a condizione che il gruppo non sia troppo grande (massimo cinque persone) e che i partecipanti abbiano un minimo di interesse nella loro città e nello scopo della passeggiata.
Quando la passeggiata è stata fatta con gli studenti la noia arrivava in fretta, ma quando è stata fatta con i funzionari dei comuni, l’entusiasmo e l’apprezzamento sono stati significativi.
A fattor comune c’è sempre una pressione da parte dei gruppi per mettere i ricercatori di BOLD nella posizione di esperti in grado di fornire informazioni e giudizio.
Ma essi cercano di resistere perché dare informazioni trasformerebbe la dinamica del gruppo in una relazione insegnante-allievo o esperto-pubblico.
Inoltre questo è contrario alle loro idee su come aumentare la consapevolezza e l’empowerment, un processo sociale che supporta le persone a ottenere il controllo dell’ambiente in cui vivono.
“Vedere” i dati
Per quanto riguarda il riuscire a vedere la città intelligente ed i suoi flussi di dati, sono stati ampiamente riconosciuti:
- Il trasporto pubblico
- I parcheggi a pagamento
- I segnali Wi-Fi gratuiti
- Le telecamere a circuito chiuso (CCTV)
Si noti, tuttavia, che alcuni dei partecipanti non hanno riconosciuto la forma moderna di alcuni modelli di telecamere a circuito chiuso, esteticamente molto simili a una lampada da soffitto nera.
Passando accanto a negozi e bar, in ogni gruppo qualcuno ha commentato sull’utilizzo dei dati, sia per quanto riguarda il controllo del magazzino sia per quello che riguarda le interazioni con i clienti.
Inevitabilmente, lo smartphone è stato menzionato come hub di dati, sia come hub spontaneo sia grazie al fatto che qualcuno potrebbe utilizzare un telefono per raccoglierli.
Le persone notano anche a tutti i tipi di antenne, sia su tralicci sia quando sono installate sui tetti. Ma nella maggior parte dei casi non era chiaro cosa fossero esattamente.
Sulla base delle loro conoscenze professionali, molti dei dipendenti pubblici hanno anche indicato dati invisibili in città, come:
- Il catasto
- I permessi di costruzione
- Le licenze degli esercizi commerciali
Le due domande di follow-up, ovvero “che cosa accade con questi dati” e “chi li possiede”, si sono rivelate altamente problematiche.
Il migliore esempio proviene da una conversazione con un gruppo di funzionari pubblici che camminavano all’ingresso dell’edificio dove hanno sede i loro uffici.
Il moderatore di BOLD ha chiesto loro di fermarsi e di riflettere sull’utilizzo della tessera identificativa dei dipendenti e dei cancelli di controllo che potevano essere visti attraverso le finestre dell’edificio, chiedendo:
“Esegui la scansione del tesserino ogni giorno. Ma sai cosa succede con i tuoi dati?”
Il gruppo ha subito fatto silenzio e si sono guardati vagamente uno con l’altro: nessuno sapeva se la scansione avesse come risultato una registrazione e, nel caso fosse realmente accaduta:
- Chi aveva accesso a quel dato?
- Con quale scopo?
- Con quale durata?
Lo stesso è accaduto in altri gruppi quando si è parlato, ad esempio, dei dati registrati quando si pagano le tariffe di parcheggio o quando si entra in alcuni condomini controllati da telecamere.
Anche i moderatori di BOLD, come gruppo di ricerca, hanno dovuto ammettere che non erano molto consapevoli dell’uso dei token digitali per prendere il caffè o per usare le macchine copiatrici.
La natura quotidiana di questa mole di dati è un fattore che rende i dati invisibili e, di conseguenza, al di là di ogni riflessione.
Consapevolezza dei dati: sfida civica o responsabilità individuale?
La quarta domanda sul controllo dei dati, era legata al fatto di capire se le persone si erano rese conto di sapere così poco di ciò che accadeva con i dati in città.
Questo è un argomento che dovrà essere analizzato in modo molto più dettagliato nelle ricerche future, ma una tendenza può già essere condivisa anche adesso.
All’ingresso dell’ufficio, un partecipante era imbarazzato e sentiva di dover saperne di più e di dover essere più consapevole; mentre un altro disse che non sentiva il bisogno di essere consapevole, perché nella sua lunga carriera in città non aveva mai notato alcun abuso sul controllo e sull’utilizzo dei dati.
Entrambe le risposte inquadrano la consapevolezza e l’empowerment dei dati come una mancata responsabilità individuale piuttosto che come una sfida pubblica e collettiva.
Un tale quadro individualistico era ancora più esplicito nella discussione tra gli studenti sui dati raccolti da un parcheggio: “Non ho una macchina, perché dovrei preoccuparmene?”.
La loro conversazione sui borsellini elettronici abilitati sulla tessera del loro appartamento studentesco dimostrò una simile prospettiva individualistica sulle tecnologie smart city: poiché si tratta di servizi a pagamento, ha senso che altre persone, senza la giusta autenticazione, non possano usarle.
Un futuro digitalizzato
I dati continuano, finora, a dare indicazioni chiare per ulteriori approfondimenti su alcune questioni difficili da considerare.
Sembra ovvio che, nelle smart cities, ci sia un’enorme mancanza di conoscenza tra gli utenti e i city makers riguardo alle tecnologie digitali basate sui dati.
Inoltre, a causa della natura quotidiana della produzione di molti dati personali (tessera del dipendente, tessera del parcheggio, pagamento con smartphone e così via) c’è poca riflessione su ciò che è noto.
Non ci sono evidentemente soluzioni facili per aumentare la consapevolezza sui dati degli utenti della città e dei cittadini, e la sfida più grande sembra essere quella di rendere la digitalizzazione e la datafication come un problema sociale piuttosto che come una responsabilità individuale.
Può darsi che questa tendenza sia il risultato del fatto di aver passeggiato principalmente con membri delle élite cittadine (dipendenti pubblici e studenti, ben istruiti e borghesi).
Resta da capire se il coinvolgimento in questa ricerca di persone appartenenti a gruppi socialmente più vulnerabili possa produrre un’idea diversa di responsabilità collettiva.
L’innovazione, il web e la tecnologia fanno parte del mio mondo lavorativo e delle mie passioni. Mi piace pensare alle città intelligenti del futuro, e poter contribuire alla loro progettazione.